"The Eichmann show - il processo del secolo"
("The Eichmann show") - 2015
Per una volta farò uno strappo alla regola, staccandomi un secondo dal cinema puro per andare a recensire un Film-TV inglese del 2015 di cui avevo sentito parlare e che mi ha particolarmente colpito: "The Eichmann Show".
Trasmesso dalla emittente britannica BBC, la pellicola (che non ha niente da invidiare ad un classico film per le sale) narra la travagliata produzione della famosa diretta televisiva al processo del nazista Adolf Eichmann (sfuggito al processo di Norimberga) da parte delle autorità israeliane dopo la cattura in Argentina nel 1961. Il risultato dell'operazione mediatica fu che l'80% della popolazione tedesca guardò almeno un'ora del programma ogni settimana, che venne trasmesso su tutte le reti in USA e Gran Bretagna ma soprattutto che finalmente, dopo 16 anni dalla fine della guerra, si cominciò a parlare apertamente dell'Olocausto. Il film inserisce in vari punti spezzoni d'epoca originali, magistralmente montati insieme a ricostruzioni moderne, che rendono il prodotto molto simile ad un docu-film.
Incentrato sulle figure protagoniste del produttore Milton Fruchtman (Martin Freeman) e del regista Leo Hurwitz (Anthony LaPaglia) la pellicola riesce a rendere al meglio sia il fenomeno mediatico che fu il processo (prima occasione per il mondo di prendere effettivamente coscienza delle atrocità perpetrate dai nazisti alla popolazione ebrea), sia la potenza comunicativa del linguaggio televisivo (l'importanza delle inquadrature, del montaggio, della ricerca del momento giusto, di cosa mandare o non mandare in onda e, non per ultimo, del messaggio che si vuole trasmettere). Da un lato la recitazione di Freeman, che è sempre una sicurezza, riesce a rendere benissimo il ruolo di produttore diviso fra il suo lavoro e la sua morale ma è LaPaglia che con la sua magnifica interpretazione di un personaggio come Hurwitz, così pieno di sfaccettature, con il suo essere simpatizzante di sinistra, ebreo, chiuso in un mondo in cui sembra non appartenere, così determinato a provare al mondo che "i mostri" sono semplici uomini che prima o poi crollano, sotto il peso delle loro azioni. E' la sua "sfida" con il gerarca nazista (che in realtà vede faccia a faccia per appena qualche attimo fuggente) il vero scheletro del film, che accompagna però numerosi sottotesti che vanno dalle considerazioni dello stato Israeliano, alla concezione del dolore dei sopravvissuti, alla percezioni politica e sociale di uno sterminio storico di massa così importante.
Un film che fa riflettere sull'importanza del vedere, del trasmettere, del rendere partecipi chi non ha potuto esserlo, in una serie di immagini e testimonianze che non possono lasciare indifferenti.
La regia di Paul Andrew Williams è asciutta, priva di virtuosismi e prettamente statica, lasciando al montaggio di James Taylor e alle musiche di Laura Rossi il compito di accompagnare lo spettatore in una storia coinvolgente, ad essere partecipi della "sfida" in atto e che, anche conoscendo la storia originale, non perde il fascino dell'attenzione.
L'impassibilità del piccolo Eichmann davanti alle atrocità commesse racchiude una girandola di emozioni che diventa quasi insostenibile, frutto di un'attenta ricerca del punto focale della vicenda: non la ricerca di un capro espiatorio ma la drammatica ricerca della verità nell'infinita natura umana.