"Premonitions" ("Solace") - 2015
Iniziamo da una curiosità: la sceneggiatura originale, scritta da Ted Griffin, doveva essere un seguito del celebre "Seven".
Scartata da Fincher, rimaneggiata insieme a Sean Baily, il progetto è poi diventato un thriller atipico, infarcito sicuramente di cliché ma capace di tenere sempre alta l'attenzione, portando al tempo stesso alla luce elementi destabilizzanti per lo spettatore (la prematura uscita di scena dell'ipotetico protagonista, le visioni che si accavallano alla realtà, l'entrata in scena dell'antagonista solo nell'ultimissimo atto).
Parlando di attori, il sempre convincente Jeffrey Dean Morgan è affiancato dalla bellissima e un po' ingessata Abbie Cornish, che fanno da contraltare ad un Colin Farrell che compare troppo poco per poterlo misurare. Su tutti un Anthony Hopkins abbastanza imbolsito ma sempre convincente quando si tratta di tirar fuori emozioni senza parlare ci presenta un personaggio contraddittorio, come contraddittoria e ambigua è la morale dell'opera, che andrà ad analizzare la questione dell'eutanasia in maniera abbastanza particolare. Difficile infatti andare contro al modus operandi del serial-killer, che per una volta potrebbe convincerci durante la sua arringa. Sarà proprio questo dubbio morale, più della battaglia di "premonizioni", la colonna portante del film, andando ad analizzarne i pro e i contro non senza un fondo di retorica abbastanza stantio. E' importante però notare come il film riesca ad essere tutto sommato abbastanza "realista" nonostante alcuni elementi della trama siano al limite del soprannaturale e questo è sicuramente uno dei punti di forza della pellicola.
La regia del brasiliano Afondo Poyart , alla sua opera seconda, aiuta ad arricchire un prodotto apparentemente classico in un thriller solido anche se abbastanza "pilotato", ma piuttosto personale (c'è un grande uso di telecamera a spalla anche nelle scene più tranquille, cosa che potrebbe non piacere a tanti ma che personalmente non mi causa nessun fastidio), in aggiunta ad un'atmosfera affascinante e molto azzeccata, sia nelle scene notturne che in quelle diurne, grazie anche alla buona fotografia di Brendan Galvin
Altro buon lavoro è quello del montatore Lucas Gonzaga, che confeziona un film dal buon ritmo e da una durata (intorno ai 100 minuti) più che adeguata, nonostante nel finale manchi forse qualche approfondimento su determinati passaggi o personaggi, solo accennati in più piccole riprese (per fare un esempio la storia della moglie di lui meritava uno sviluppo migliore, specie sulle sue motivazioni, soprattutto dopo aver appreso il colpo di scena finale). Ci si perde a volte in alcuni virtuosismi di troppo (vedi la pallottola al rallenty) o in concetti più volte affrontati (la morte della figlia) che minano un po' la narrazione rendendo il film un filo più pesante di quanto è in realtà, ma che sinceramente non mi sembra vada ad incidere più di troppo sulla messa in scena finale, sempre accattivante.
Parlando di finale, che arriva come una naturale e rassegnata conseguenza di tutto quello che abbiamo visto, mi sarebbe piaciuto vedere un qualcosa di più "cattivo", ma forse sarebbe andato a snaturare un prodotto che pone la sua focale sul concetto morale rispetto a quello visivo o di trama.