"Omicidio all'italiana" ("Omicidio all'italiana") - 2017

 

Caro Maccio, ti aspettavo al varco con questa tua seconda pellicola dopo che la prima ("Italiano Medio" del 2015) mi aveva convinto solo sul fronte dei contenuti, a dispetto di un comparto tecnico disastroso.

Ammetto che stavolta sono rimasto piacevolmente colpito da un  prodotto che appare finalmente come un film professionistico, con immagini curate, una regia semplice ma congeniale all'azione e una fotografia che non sfigura di fronte a produzioni analoghe. Anche il set del piccolo borgo Acitrullo (in realtà Corvara), dove si svolge la storia, con le sue stradine perdute nel nulla, è ideale per rendere quel clima di suspance e mistero che ci accompagna per tutta la visione. Certo, non manca il demenziale tocco di Maccio e compagni, sempre al servizio di un sottotesto di denuncia questa volta contro i mass-media e la strumentalizzazione degli organi di informazione di fronte ai grandi delitti all'italiana. Una critica molto ben realizzata, con diverse gag spudoratamente esagerate (ma che non scadono mai nel cattivo gusto) e il solito gioco dell'uso della lingua italiana storpiata (sia nei nomi che nei dialoghi) con qualche freddura da sorrisetto abbozzato, tante battute da sbellicarsi e un paio di genialate da applausi (San Ceppato meriterebbe uno spin-off, Rupert Sciamenna si conferma fuoriclasse).

Ma, battute a parte, il film lo fa principalmente la trama e qui non solo la storia c'è, ma è pure, nella sua bizzaria, piuttosto interessante, con qualche colpo di scena che proprio non ti aspetti da prodotti di questo tipo, specie quando tutto sembra risolto (si vede che il "dare qualcosa in più" è caro all'autore visto che è spesso presente nelle sue opere).

A proposito, il Maccio protagonista/sceneggiatore/regista se la cava come al solito egregiamente, pur lasciando da parte stavolta i personaggi che lo hanno reso celebre (scelta azzeccata secondo me), per buttarsi a capofitto in una nuova maschera, quella del sindaco Piero Peluria, figura metaforica del vecchio italiano di paese che cerca di stare al passo con una modernità della vita che sta pian piano facendo sparire la sua specie. Un personaggio carico di umorismo ma al tempo stesso velato da un senso di tristezza che traspare bene da alcune situazioni.

Accanto a lui, sempre eccellente, il fido Herbert Ballerina, con le sue facce, la sua parlata, il suo essere la parte "che ci prova" (spesso con poca fortuna) di Maccio, una figura quasi fantozziana che cerca il suo ruolo in una realtà che perennemente lo sovrasta. Sue, ancora una volta, le battute più divertenti.

Accanto a loro il solito cast di già noti (con qualche new entry mentre viene ancora intelligemente lasciato ai margini l'incapace Ivo Avido) con una menzione speciale per Sabrina Ferilli, perfettamente calata nella parte di Donatella Spruzzone, cinico squalo televisivo che vive sulle disgrazie altrui, figura sfacciatamente ispirata alla "simpatica" Barbara D'Urso e ai suoi discutibili programmi.

Alla seconda prova sul grande schermo quindi Maccio finalmente coniuga una storia gialla interessante a delle immagini ben studiate, sfornando una buona commedia demenziale, pur nella sua semplicità, dai toni sarcastici e a tratti misteriosi, per chi ha voglia di godersi una pellicola che faccia divertire per tutta la sua durata e riflettere a denti stretti dopo i titoli di coda.

 

"Cogne, Avetrana, Novi Ligure...che c'hanno più di noi?" (frase divertente che nasconde TANTO)

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