"Lo chiamavano Jeeg Robot"

("Lo chiamavano Jeeg Robot") - 2016

 

Ho preso del tempo per riuscire a parlare in maniera obbiettiva di questo film che, per svariati motivi, è diventato un vero e proprio fenomeno nel nostro paese. Forte degli ottimi incassi e dei molteplici successi della critica, mi ero avvicinato a questa pellicola con prudenza e grandi aspettative, visto che il tema trattato mi è molto affine.

Finita la visione, però, mi sono ritrovato tremendamente interdetto.

Un buon film? Sicuramente.

Il grandissimo film di cui tutti parlano? Decisamente no.

Parliamoci chiaro, non c'è dubbio che questa pellicola abbia tanti meriti, primo fra tutti l'aver portato con successo al nostro cinema italiano un genere (quello supereroistico) che sicuramente non è mai stato ben visto (mi dimentico volontariamente del pessimo "Il ragazzo invisibile" di Salvatores, regista che si è rivelato assolutamente non adatto a questo tipo di tematiche).

Il film di Mainetti, fra l'altro molto abile con la macchina da presa, mi è fondamentalmente piaciuto ma mi viene da sorridere quando sento e leggo di spettatori che lo paragonano a produzioni americane molto blasonate o addirittura lo considerano una versione italiana di "Unbreakable", splendida perla di Shyamalan, a cui non si avvicina neanche lontanamente per qualità generale.

Capisco l'entusiasmo che una buona pellicola come questa possa generare in un pubblico (generalmente non famoso per la sua cultura cinematografica, bisogna ammetterlo) abituato a polpettoni plurimpegnati o commediole stupide, ma tutta l'esagerata aura di "capolavoro" nata intorno a questo titolo mi sembra francamente esagerata e forse, alla lunga, controproducente, in quanto un occhio più attento potrebbe rimanere ingiustamente più deluso del dovuto dopo le grandi premesse.

Subito dopo aver messo in chiaro questo punto per me molto importante, mi piacerebbe parlare del vero cuore del film ovvero la relazione fra Enzo e Alessia che, ancora più dei superpoteri di lui, catalizza l'attenzione dello spettatore per l'estrema cura con cui è narrata. Enzo e Alessia sono due disadattati agli estremi opposti, diversi ma profondamente simili.  Si trovano e si riconoscono, riuscendo pian piano ad abbattere quelle distanze incolmabili che il mondo ha messo loro davanti, il tutto mescolato da una narrazione pulita e profondamente pacata nonostante le tinte forti di alcune tematiche di contorno. Santamaria (attore che non ho mai sopportato e che invece mi ha conquistato in questa interpretazione minimalista, che rende profondamente reale con i suoi silenzi e le sue movenze sgraziate) e la Pastorelli (peccato che solo chi ha visto Jeeg Robot con attenzione può cogliere tutte le citazioni assurde che spara continuamente) riescono a creare un rapporto bizzarro ma profondamente "vero", che ci coinvolge e ci trascina nella storia.

E' interessante notare come, quando questo rapporto viene meno, anche il restante contesto del film si sgretola, come a voler testimoniare che non è lo scontro Jeeg-Zingaro che regge la pellicola.

Andiamo quindi a parlare del personaggio di Marinelli, bravo ma non eccezionale (ennesima esagerazione) a tratteggiare il ruolo di Fabio Cannizzaro, alias Lo Zingaro, eccentrico bad guy. L' attore ce la mette tutta, a volte andando un po' troppo sopra le righe ma comunque dipingendo efficacemente un cattivo che non può non piacere. Peccato che poi la sceneggiatura lo abbandona e, in un incontrollabile velocizzazione degli eventi (che coinvolge tutta la seconda parte del film, molto meno riuscita della prima) il personaggio si perde, acquistando banalità nelle azioni e nei dialoghi.

Il problema del film, a livello di sceneggiatura, è proprio nella seconda parte, quando si ha una spinta sull'accelleratore di cui proprio non si sentiva il bisogno, dopo una prima parte in cui si presentano i personaggi, i luoghi e si dipana la trama in maniera coerente, grazie anche ad un buon montaggio, dando il tempo necessario ad ogni aspetto. Quando poi la fonte dei superpoteri del protagonista, trattata all'inizio in maniera molto seria con una sequenza ai limiti dell'epico, diventa qualcosa di tremendamente vicino alle pozze delle sorgenti di Ranma, ti rendi proprio conto che qualcosa non funziona più.

Gli effetti speciali sono buoni, anche se ancora acerbi per il budget modesto e fanno il loro dovere, così come la fotografia di D'Attanasio ci regala dei bellissimi squarci della Roma decadente. La periferia romana si è rivelata infatti un'ottima scelta per le location (peccato abbiano calcato davvero troppo sul dialetto, rendendo davvero ostica la comprensione di alcune frasi) e, specie nello splendido inseguimento iniziale, la regia di Mainetti ha saputo rendere merito alle nostre splendide scenografie naturali.

Per concludere, posso dire che "Lo chiamavano Jeeg Robot" è sicuramente un buon film, che porta finalmente con dignità nei cinema italiani un genere che mancava (e che speriamo abbia un seguito con altri titoli), che ci presenta dei personaggi interessanti e ben recitati ma che al tempo stesso possiede varie pecche a livello di sceneggiatura, specie in una seconda parte troppo tirata via. Non il grande capolavoro che molti hanno sempre in bocca, ma al contrario un film semplice e umile che fa il suo, con riconoscimenti di pubblico e critica che probabilmente neanche erano preventivati, frutto di meriti stessi della pellicola, ma anche di una campagna marketing molto curata e di un pubblico che esulta forse troppo spesso per la scoperta dell'acqua calda, che per quanto utile sempre acqua calda rimane.

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